martedì 16 ottobre 2012

40 anni fa, il disastro aereo delle Ande

I sopravvissuti del disastro aereo
delle Ande salutano i soccoritori

Sono trascorsi quarant'anni da quel tragico 13 ottobre 1972, quando il volo 571 della Fuerza Aérea Uruguaya, un Fokker Fairchild FH-227D, che trasportava una squadra di rugby uruguaiana, insieme ad amici e parenti, si schiantò sulla cordigliera delle Ande. Gran parte dei passeggeri morirono sul colpo, altri morirono rapidamente per le ferite e per il freddo, alcuni furono travolti da una valanga che colpì il rifugio che i sopravvissuti si erano costruiti.

72 giorni dopo quel tragico incidente, il 23 dicembre 1972, 16 sopravvissuti furono salvati, dopo aver trascorso più di due mesi in condizioni ambientali estreme, con pochissimi viveri, senza potersi riscaldare ad oltre 3600 metri di altezza. Dopo aver tentato invano di chiamare i soccorsi e dopo la rinuncia da parte delle autorità a cercare queste persone, per sopravvivere furono costretti a cibarsi dei corpi dei passeggeri morti, amici e parenti, che si erano conservati nella neve.



La salvezza di quei 16 si deve soprattutto al coraggio di due di loro, Nando Parrado e Roberto Canessa, che decisono di affrontare una lunghissima marcia di dieci giorni sulle Ande per cercare aiuto. Una scelta che si rivelò decisiva, perchè i due ragazzi riuscirono a trovare un pastore, che potè avvisare i soccorsi e dare il via al salvataggio dei sopravvissuti. Una storia che sebbene siano passati 40 anni e sia stata raccontata in libri, in film e in mostre fotografiche, mantiene intatta la capacità di stupire e di commuovere.

Quel 22 dicembre 1972 quelle persone che erano rimaste accanto al relitto del Fokker furono immortalate in una foto che li vede festeggiare l'arrivo dell'elicottero che li porterà in salvo. Un salvataggio complesso a causa delle condizioni  climatiche e che fu effettuato in due momenti, costringendo alcuni a rimanere ancora una notte in quell'inferno di ghiaccio.

Parrado e Canessa con il pastore
che incontrarono dopo 10 giorni di cammino 
In un'intervista, Nando Parrado, uno dei due ragazzi che andarono a cercare aiuto, ha spiegato: "Guardai Roberto e gli dissi: 'Abbiamo due scelte, o moriamo qui guardandoci negli occhi o moriamo camminando. Io preferisco morire combattendo per la mia vita' e fu per questo motivo che abbiamo continuato a camminare ed è per questo motivo che siamo vivi. Quella è stata la decisione più importante che ho preso nella mia vita: come morire".

fonte latam/msn

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