lunedì 21 gennaio 2013

Quell'uccellino imprendibile sulla fascia


"Se si parla ad un vecchio di Pelè, si toglie il cappello in segno di devota gratitudine. Se si parla di Garrincha, il vecchio comincia a piangere". Così ha scritto Ruy Castro parlando di Manoel Francisco dos Santos, per tutti Garrincha, che morì il 21 gennaio 1983. Trenta anni fa.

Una volta un arbitro lo minacciò d'espulsione se non avesse smesso di dribblare un povero difensore che cercava di fermarlo. Questo era Manoel Francisco dos Santos, meglio conosciuto con il soprannome di Garrincha. Un nomignolo che gli aveva dato la sorella a causa del suo fisico minuto come quello di un uccellino tipico delle parte del Brasile, dove questa leggenda del calcio brasiliano era nato. Due volte campione del mondo con il Brasile, aveva una distruttiva passione per le donne e per l'alcool, quest'ultimo causa della sua morte, che lo raggiunse solo e povero.


Quante le storie di calcio, quante le verità e quante le fantasie, ma il fascino e le immagini, a volte in bianco e nero, che rimangono, fanno ancora pensare che questo sport sia il più bello del mondo e che i suoi protagonisti siano una sorta di dei dell'Olimpo. Probabilmente è stato così anche per Manoel Francisco dos Santos, un ragazzino brasiliano, minato da una serie di problemi fisici, ma che riuscì per due volte nella sua vita ad alzare al cielo la famosa Coppa Rimet. 

Questo ragazzo nato a Pau Grande, ha scritto delle pagine importanti nella storia del calcio e il suo nome, per tutti, è sempre stato Garrincha. Il suo nome è il sinonimo di dribbling, un dribbling vertiginoso, ubriacante, che lasciava sul posto i suoi avversari, incapaci di fermarlo. 


Garrincha, secondo i medici non avrebbe mai dovuto giocare a calcio, afflitto come era da molti difetti congeniti, tra i quali lo strabismo, una spina dorsale deformata, sei centimetri di differenza tra una gamba e l'altra, eppure questo ragazzino cresciuto in modo quasi selvaggio, nuotando nei fiumi e cacciando uccelli, proprio quelli chiamati con il soprannome che gli diede la sorella, Garrincha, è diventato uno dei calciatori più forti nella storia del calcio brasiliano e di una nazionale fatta da 'eroi', eroi che portano il nome di Didi, Pelè, Vavà ovvero il Brasile che vinceva e incantava.

Un talento naturale, ma con una vita scandita fin da giovane età dalla passione per le donne e per l'alcool, passione, quest'ultima, che gli è stata fatale e che lo ha portato alla morte a soli 49 anni, dopo aver sperperato ciò che poteva aver guadagnato negli anni di gloria e soprattutto solo e dimenticato da molti. Garrincha ha trascorso solo gl ultimi giorni della sua vita. In una stanza dell'ospedale di Santa Teresa a Rio de Janeiro. L'unico avversario che non è stato capace di superare è stata la cashasha, una bevanda brasiliana ad alto tasso alcolico che aveva cominciato ad ingerire fin dall'età di cinque anni. L'autopsia ha rivelato in seguito che cervello, cuore, polmoni e fegato erano stati distrutti dall'alcol.


Spirito selvaggio da sempre , Garrincha, dopo aver fatto qualche lavoro dal quale veniva regolarmente licenziato per il numero di assenze, trovò nel calcio una ragione di vita e il calcio trovò lui. Garrincha è ritenuto il massimo rappresentante del cosiddetto futebol moleque ovvero il calcio visto come pura inventiva e improvvisazione, dove la tattica trovo poco spazio, mentre la gioia diventa la quintessenza del calcio. Finiti i giorni di gloria sui campi di calcio, il problema dell'alcolismo si è fatto sempre più grave fino a portarlo alla morte, solo in un letto di ospedale.

La tomba di Garrincha si trova nel cimitero di Raiz da Serra, nella zona di Magé. Pochi si ricordano di andarlo a trovare ogni tanto, anche solo per togliere la polvere da quella scritta sulla lapide che dice: "Qui riposa in pace colui che fu la Gioia del popolo, Mané Garrincha".

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